Buongiorno, Berlino. Ti
guardo svegliarti lentamente e mi torna in mente tutto quello che avevo
dimenticato. Qualcuno mi passa accanto camminando di fretta, mi urta e continua
ad andare per la sua strada senza girarsi. Qualcun altro accenna un sorriso. C’è
un uomo che piange parlando al telefono in una lingua che non conosco. C’è una
donna che raccoglie le bottiglie abbandonate dai fantasmi della notte e le
ripone accuratamente in una borsa. C’è un bambino dalla pelle scura, con un
pallone in mano, che sembra fremere dalla voglia di mettersi a calciare. Ma
siamo alla fermata, l’autobus sta arrivando, dovrà aspettare ancora qualche
minuto. Ci sono tante storie attorno a me, e mi piacerebbe poterle ascoltare
tutte. Mi piacerebbe potermi mettere a parlare, poter avvicinare sconosciuti e
dirgli “Ciao, raccontami del posto dove sei cresciuto”. Forse verrei presa per
matta, o forse troverei proprio la persona che non vede l’ora di condividere
con me quanto gli manchi il profumo di casa, gli abbracci della mamma, il parco
dove si è sbucciato un ginocchio da bambino. E poi ancora… il primo amore, il
secondo, i sogni per il futuro, quelli che non si realizzano quasi mai. E penso
ai miei, di sogni. Penso a come sia cambiato così velocemente tutto quello in
cui credevo. Penso a come la vita sia stata, per me, come una forte onda che
sbatte sugli scogli, e a come mi abbia portato con sé, da un mare all’altro,
senza che io potessi mai davvero decidere dove andare. “We move with the flow”,
dice una canzone che ascolto spesso, e che ogni volta mi fa sentire libera,
trasportata, come se qualsiasi decisione io prenda sia stata dettata non da me
stessa, ma da qualcuno che ne sa più di me. E può sembrare un controsenso. Come
ci si può sentire liberi se si ha la sensazione che ciò che facciamo dipenda da
qualcun altro? Eppure è vero per tutti. Qualsiasi scelta dipende da chi abbiamo
conosciuto, da cosa abbiamo visto, da cosa abbiamo sentito nei momenti più e meno
importanti, e poco da noi stessi. Per cui continuo a muovermi col flow come ho
sempre fatto. Continuo a partire quando sento che il vento dentro di me si sta
alzando ed è ora di andare. Continuo a restare quando sento che ho bisogno di
ancora un po’ di tempo. E continuo a immaginare storie, chissà che magari un
giorno avrò il coraggio di chiederle. Ma fino ad allora, mi piace immaginarle.
Mi piace stare lì, seduta, a guardarmi attorno e a chiedermi cosa abbia
provocato le cicatrici sul viso di quell’uomo, cosa abbia visto quella donna
mentre raccoglieva bottiglie, cosa abbia provato quel bambino la prima volta
che è caduto rincorrendo il suo pallone. A volte ne vengono fuori storie
interessanti, altre volte mi distraggo e inizio a pensare alla storia di qualcun
altro. Alla mia, a quella delle persone che conosco, e a quella delle persone
che non ho mai conosciuto davvero.
E buongiorno ancora,
Berlino. Cosa mi regalerai oggi? E cosa regalerò io a te? Cammino verso casa
con i primi raggi del sole che mi avvolgono e mi scaldano, e con una leggera
brezza che mi fa pensare al vento che ho dentro. Un vento che, armato di mappa
e bussola, decide inesorabilmente dove devo andare.