sabato 11 giugno 2016

Buongiorno, Berlino.

Buongiorno, Berlino. Ti guardo svegliarti lentamente e mi torna in mente tutto quello che avevo dimenticato. Qualcuno mi passa accanto camminando di fretta, mi urta e continua ad andare per la sua strada senza girarsi. Qualcun altro accenna un sorriso. C’è un uomo che piange parlando al telefono in una lingua che non conosco. C’è una donna che raccoglie le bottiglie abbandonate dai fantasmi della notte e le ripone accuratamente in una borsa. C’è un bambino dalla pelle scura, con un pallone in mano, che sembra fremere dalla voglia di mettersi a calciare. Ma siamo alla fermata, l’autobus sta arrivando, dovrà aspettare ancora qualche minuto. Ci sono tante storie attorno a me, e mi piacerebbe poterle ascoltare tutte. Mi piacerebbe potermi mettere a parlare, poter avvicinare sconosciuti e dirgli “Ciao, raccontami del posto dove sei cresciuto”. Forse verrei presa per matta, o forse troverei proprio la persona che non vede l’ora di condividere con me quanto gli manchi il profumo di casa, gli abbracci della mamma, il parco dove si è sbucciato un ginocchio da bambino. E poi ancora… il primo amore, il secondo, i sogni per il futuro, quelli che non si realizzano quasi mai. E penso ai miei, di sogni. Penso a come sia cambiato così velocemente tutto quello in cui credevo. Penso a come la vita sia stata, per me, come una forte onda che sbatte sugli scogli, e a come mi abbia portato con sé, da un mare all’altro, senza che io potessi mai davvero decidere dove andare. “We move with the flow”, dice una canzone che ascolto spesso, e che ogni volta mi fa sentire libera, trasportata, come se qualsiasi decisione io prenda sia stata dettata non da me stessa, ma da qualcuno che ne sa più di me. E può sembrare un controsenso. Come ci si può sentire liberi se si ha la sensazione che ciò che facciamo dipenda da qualcun altro? Eppure è vero per tutti. Qualsiasi scelta dipende da chi abbiamo conosciuto, da cosa abbiamo visto, da cosa abbiamo sentito nei momenti più e meno importanti, e poco da noi stessi. Per cui continuo a muovermi col flow come ho sempre fatto. Continuo a partire quando sento che il vento dentro di me si sta alzando ed è ora di andare. Continuo a restare quando sento che ho bisogno di ancora un po’ di tempo. E continuo a immaginare storie, chissà che magari un giorno avrò il coraggio di chiederle. Ma fino ad allora, mi piace immaginarle. Mi piace stare lì, seduta, a guardarmi attorno e a chiedermi cosa abbia provocato le cicatrici sul viso di quell’uomo, cosa abbia visto quella donna mentre raccoglieva bottiglie, cosa abbia provato quel bambino la prima volta che è caduto rincorrendo il suo pallone. A volte ne vengono fuori storie interessanti, altre volte mi distraggo e inizio a pensare alla storia di qualcun altro. Alla mia, a quella delle persone che conosco, e a quella delle persone che non ho mai conosciuto davvero.

E buongiorno ancora, Berlino. Cosa mi regalerai oggi? E cosa regalerò io a te? Cammino verso casa con i primi raggi del sole che mi avvolgono e mi scaldano, e con una leggera brezza che mi fa pensare al vento che ho dentro. Un vento che, armato di mappa e bussola, decide inesorabilmente dove devo andare. 

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