lunedì 16 dicembre 2013

Pesiamo. Pesiamo tanto.

Passiamo la maggior parte del nostro tempo a chiederci dov'è che abbiamo sbagliato, a domandarci se è colpa nostra quando la vita ci sferra calci e pugni, a cercare di trovare soluzioni di cui però non se ne vede neanche l’ombra.
Abbiamo paura di non essere abbastanza forti, e ci arrampichiamo di qua e di là cercando appigli effimeri, incapaci di sostenerci davvero. Pesiamo. Pesiamo tanto.
Sarebbe tutto più facile se potessimo smettere di doverci aggrappare, smettere di avere bisogno di qualcuno a sorreggerci, contare solo sulle nostre forze. Se sei da solo non puoi fare male a nessuno e nessuno può farti davvero male. Ma cosa ne è poi della gioia? Con chi condividere la gioia?
Ecco, per quanto ci ostiniamo a dire che non contare su nessuno è un ottimo modo per prevenire le delusioni, la verità è che abbiamo un disperato bisogno di qualcuno nella nostra vita, un bisogno molto più grande della paura di soffrire, e allora ci attacchiamo disperatamente a tutto ciò che troviamo, anche se in alcuni casi può non essere la scelta migliore.

Ho dato anima e corpo a una persona con la quale mi sentivo completa, felice, meno sola, e in cambio ho ricevuto schiaffi e odio. E allora qui mi chiedo, avrò sbagliato? E dove avrò sbagliato? Ma a un certo punto della propria vita, uno si rende conto del fatto che forse non è sempre colpa nostra, forse c’è di più dietro ciò che ci succede, forse le cose sono peggio o meglio di come sembrano. Io non mi sono resa conto di niente di tutto ciò, io ho realizzato che sono stanca di inseguire il vuoto e di riparare l’irreparabile, come quando metti la colla sul manico rotto di una tazzina e puntualmente questo si stacca. Ti piace quella tazzina, sei affezionata, ma ogni volta che la tocchi ecco che si stacca. L’unica cosa da fare è non toccarla, mai più, e a quel punto non importa più chi l’abbia rotta, l’importante è non toccarla mai più.

domenica 1 dicembre 2013

LA MAFIA UCCIDE SOLO D'ESTATE

Ieri era il compleanno di mia madre e, volendo passare il pomeriggio insieme, abbiamo deciso di andare al cinema. Scorrendo la programmazione la scelta è ricaduta quasi immediatamente sul film di Pif “La mafia uccide solo d’estate”, una sorta di documentario romanzato sugli avvenimenti che hanno caratterizzato Palermo degli anni ’80 e ’90.
A colpirmi è stata innanzitutto la genialità della regia, capace di trasporre con sottile ironia temi come le vicende legate a Cosa Nostra e facendo sorridere, riflettere e commuovere allo stesso tempo.
Poi però ho notato un’altra cosa, la quale mi ha terribilmente rattristata. Alla fine del film, quando si sono accese le luci, avevo ancora le lacrime agli occhi e mi sono guardata attorno per vedere se anche alle altre persone in sala avesse suscitato lo stesso effetto. Beh, le altre persone in sala erano tre, una delle quali un anziano intento a dormire profondamente. Mi sono detta “Vabè, è sabato pomeriggio, chi vuoi che venga al cinema..” ma uscendo ho incrociato un fiume di persone intento a comprare biglietti per i soliti cine-panettone e commedie o uscire dalle sale dei suddetti film ridendo allegramente.
Ora, io sono perfettamente consapevole del fatto che andare al cinema sia un momento di svago e che ognuno abbia il diritto di scegliere cosa vedere, ma a preoccuparmi è ciò che quanto è successo rappresenta. Il fatto che il 90% delle persone che erano al cinema ieri abbiano scelto di vedere qualcos’altro, è l’emblema di ciò che accade ogni giorno in Italia. Scelgono tutti di vedere qualcos’altro, o meglio, di non vedere.
La mafia è stato un problema ieri, è un problema oggi, ma non è detto che debba essere un problema anche domani. Di certo vedere un film documentario a riguardo può sembrare irrilevante, ma a spaventarmi è la totale mancanza di interesse.
Se tanti giornalisti e scrittori hanno perso la vita, è perché la mafia ha paura dell’informazione, è perché la mafia ha paura che le persone si rendano conto di quanta influenza essa ha sulle nostre vite ogni giorno, quindi andare al cinema a vedere Pif che ci racconta di Cosa Nostra a Palermo invece che Frank Matano o Checco Zalone, sarebbe la prima cosa logica e giusta da fare.
Alla fine del film mia madre mi ha guardata e ha detto “Sai qual è la cosa più triste? Che non è cambiato niente” e mi ha fatto quasi impressione quanta verità ci fosse in quelle parole. Non è cambiato niente perché pochi hanno davvero voluto cambiare qualcosa, perché è più facile fingere che certe cose non esistano o che non ci riguardino.
Ciò che ho scritto non vuole essere una condanna, quanto piuttosto un invito a riflettere. Non possiamo pretendere di vivere in un posto migliore se prima non diventiamo noi stessi persone migliori.


“Per me da bambino la mafia era lontana pur essendo dietro casa. Chissà quante volte ero vicino a un mafioso, senza saperlo. Giocavo a calcio di fronte alla casa dove Vito Ciancimino riceveva Provenzano: magari è arrivata qualche pallonata sulla sua macchina. Il rischio è abituarsi. Se il negozio vicino a scuola prende fuoco perché non pagano il pizzo, la prima volta fa impressione, la decima ti abitui. E invece bisogna scandalizzarsi: abituarsi significa rassegnarsi.”