martedì 12 novembre 2013

Ma perché tu non ti vuoi, azzurra e lucente?

C’era una volta, nel regno delle anime, un’anima persa. A quest’anima piaceva vagare, farsi male, superare ogni limite e vivere, vivere tanto. Un giorno quest’anima, in preda ad uno dei suoi consueti deliri, cadde dal regno e rotolò giù tra gli umani, finendo per spaccarsi in due. Le due parti, in preda allo sconforto, finirono per andare a rifugiarsi in due corpi tanto diversi quanto uguali, destinati a incontrarsi e a restare insieme per sempre.
Noi ci vogliamo così tanto da arrivare a odiarci e sappiamo già tutto quindi non ci diciamo niente. E siamo meglio di tutti i libri e i film del mondo perché dobbiamo ancora scrivere la nostra storia, anche se l’abbiamo già scritta da qualche parte e aspettiamo solo di trovarla, lontano.
E la vita non è sempre facile, ma quando due parti si incontrano allora diventa un po’ meno dura andare avanti, le linee spezzate che sbattono a destra e sinistra, in qualche modo, trovano il modo di andare dritte, anche se la direzione non è chiara, anche se a volte sembra che possano perdersi e spezzarsi di nuovo.

Io non lo so come saremo tra dieci anni, e non so neanche come saremo quando avremo l’età dei nostri genitori, ma so che in qualche modo e da qualche parte, saremo insieme, perché tu sarai il libro ed io la colla, tu sarai le parole ed io la rima, perché quando mi sentivo un disastro credevo mi avresti trattata male, e invece mi hai aiutata a cambiare idea, e per me “casa” è dovunque sono con te.

lunedì 4 novembre 2013

Damaged people are dangerous, because they know they can survive.

Voglio pensare a noi ancora sull'erba umida, per ore, a parlare delle cose belle che ti eri dimenticato.
Voglio pensarla così perché so che per tutta la vita non ho fatto altro che correre, incolpando gli altri, quando in realtà stavo scappando da me stessa.
Voglio pensarla così perché so cos'è il dolore, e so cosa si prova quando la gente ci ferisce, ma so anche che non è nulla rispetto a quanta pena ci infliggiamo da soli.
Voglio pensarla così perché so che non ci sarà il futuro che avevamo immaginato, e mi tremano le mani.
Voglio pensarla così perché è dogmatico non ottenere mai cosa si vorrebbe, ma almeno c'è qualcosa di bello da ricordare.
Voglio pensarla così perché è un segreto eternamente nostro, un'immagine ferma nel passato, carta ingiallita più vivida che mai.
Voglio pensarla così perché altrimenti sento una stretta al petto e non riesco a respirare.

domenica 3 novembre 2013

Nulla.

Domenica pomeriggio. Ennesimo fine settimana passato a dimenticare. Dimenticare cosa? La persona che ero. La persona che mi piaceva essere. Non mi è mai mancata la felicità eppure l’ho sempre cercata affannosamente, era lì e non la sentivo. Avevo dei progetti, avevo delle idee, avevo voglia di fare, di tentare. Mesi fa ho deciso di allontanarmi da qualsiasi cosa, di scappare, non mi piaceva il posto dove mi trovavo, non mi piaceva essere circondata dalle persone che mi volevano bene più di chiunque altro, non sapevo più dove fossi, chi fossi. Sono partita per una città del tutto sconosciuta sperando di trovare la chiarezza di cui avevo bisogno, ma ho trovato solo tanta confusione. E’ stato bello divertirsi, conoscere persone totalmente diverse da quelle che mi ero lasciata alle spalle, contare solo sulle mie forze. Ma stare da soli può avere solo una conseguenza: quella di uscirne totalmente cambiati. Sta a noi decidere se il cambiamento sia in meglio o in peggio, e io non ho fatto la scelta migliore. Ho completamente perso di vista quelle che erano le poche certezze su cui sapevo di poter contare, quella sicurezza a cui mi aggrappavo come fosse l’unica cosa che avevo. E ora sono qui, senza niente tra le mani se non tanta disperazione, senza più sorrisi se non quelli amorfi che si storpiano sotto qualche luce stroboscopica mista a musica che mi perfora la testa facendomi perdere completamente il senso dello spazio e del tempo.

E’ facile vivere così, non pensare a niente e a nessuno, ci si sente leggeri. O perlomeno è quello che ci si ripete. Mi autoconvinco che vada bene perché non ho più la forza di fare alcun’altra cosa. Non ho più la forza di lottare per ciò in cui credevo, non ho più gli interessi di cui ero tanto fiera. Non ho più nulla e questo vuoto, sì, rende leggeri, ma più cresce più crea un enorme buco dentro, e allora inizia a pesare, a pesare da morire. Non ho più pensato alla morte, quello no. Non la vedo come una soluzione quanto piuttosto come un fallimento e questo mi porta a credere che una parte di me serbi ancora un po’ di speranza. Sono uscita dalla peggiore delle sofferenze a testa alta, sono stata forte in un momento in cui nessuno sarebbe riuscito anche solo a respirare. Forse il colpo l’ho accusato dopo, forse continuo ad accusarlo ogni giorno senza neanche rendermene conto. Forse dovrei smettere di ricordare. Quei giorni ormai lontani sono incisi in ogni parte del mio corpo e bruciano, ma più che vederli come un motivo per tornare ad essere forte, inizio a credere che forse tanto forte non lo sono mai stata. Forse scrivere non mi farà stare meglio, ma dopo tanto tempo ho voglia di provare. E scendono lacrime che non sento neanche mie, sono le lacrime di tutto ciò che ho abbandonato per correre dietro a qualcosa di indefinito. Correre. Qualcuno disse: “per quanto tu abbia fiato, se scappi da qualcosa che hai dentro quanto pensi di andare lontano?” e non c’è cosa più vera. Continuo a scappare da me stessa e ad inseguirmi allo stesso tempo. Sono preda di una sorta di delirio interiore che mi consuma. Non ho validi motivi per alzarmi dal letto la mattina. Non ho pensieri felici o tristi prima di addormentarmi. Niente. Niente. Niente. E credo che nulla faccia più male del nulla stesso.