Domenica
pomeriggio. Ennesimo fine settimana passato a dimenticare. Dimenticare cosa? La
persona che ero. La persona che mi piaceva essere. Non mi è mai mancata la
felicità eppure l’ho sempre cercata affannosamente, era lì e non la sentivo.
Avevo dei progetti, avevo delle idee, avevo voglia di fare, di tentare. Mesi fa
ho deciso di allontanarmi da qualsiasi cosa, di scappare, non mi piaceva il
posto dove mi trovavo, non mi piaceva essere circondata dalle persone che mi
volevano bene più di chiunque altro, non sapevo più dove fossi, chi fossi. Sono
partita per una città del tutto sconosciuta sperando di trovare la chiarezza di
cui avevo bisogno, ma ho trovato solo tanta confusione. E’ stato bello
divertirsi, conoscere persone totalmente diverse da quelle che mi ero lasciata
alle spalle, contare solo sulle mie forze. Ma stare da soli può avere solo una
conseguenza: quella di uscirne totalmente cambiati. Sta a noi decidere se il
cambiamento sia in meglio o in peggio, e io non ho fatto la scelta migliore. Ho
completamente perso di vista quelle che erano le poche certezze su cui sapevo
di poter contare, quella sicurezza a cui mi aggrappavo come fosse l’unica cosa
che avevo. E ora sono qui, senza niente tra le mani se non tanta disperazione,
senza più sorrisi se non quelli amorfi che si storpiano sotto qualche luce
stroboscopica mista a musica che mi perfora la testa facendomi perdere
completamente il senso dello spazio e del tempo.
E’ facile
vivere così, non pensare a niente e a nessuno, ci si sente leggeri. O perlomeno
è quello che ci si ripete. Mi autoconvinco che vada bene perché non ho più la
forza di fare alcun’altra cosa. Non ho più la forza di lottare per ciò in cui
credevo, non ho più gli interessi di cui ero tanto fiera. Non ho più nulla e
questo vuoto, sì, rende leggeri, ma più cresce più crea un enorme buco dentro,
e allora inizia a pesare, a pesare da morire. Non ho più pensato alla morte,
quello no. Non la vedo come una soluzione quanto piuttosto come un fallimento e
questo mi porta a credere che una parte di me serbi ancora un po’ di speranza.
Sono uscita dalla peggiore delle sofferenze a testa alta, sono stata forte in
un momento in cui nessuno sarebbe riuscito anche solo a respirare. Forse il
colpo l’ho accusato dopo, forse continuo ad accusarlo ogni giorno senza neanche
rendermene conto. Forse dovrei smettere di ricordare. Quei giorni ormai lontani
sono incisi in ogni parte del mio corpo e bruciano, ma più che vederli come un
motivo per tornare ad essere forte, inizio a credere che forse tanto forte non
lo sono mai stata. Forse scrivere non mi farà stare meglio, ma dopo tanto tempo
ho voglia di provare. E scendono lacrime che non sento neanche mie, sono le
lacrime di tutto ciò che ho abbandonato per correre dietro a qualcosa di
indefinito. Correre. Qualcuno disse: “per quanto tu abbia fiato, se scappi da
qualcosa che hai dentro quanto pensi di andare lontano?” e non c’è cosa più
vera. Continuo a scappare da me stessa e ad inseguirmi allo stesso tempo. Sono preda
di una sorta di delirio interiore che mi consuma. Non ho validi motivi per
alzarmi dal letto la mattina. Non ho pensieri felici o tristi prima di
addormentarmi. Niente. Niente. Niente. E credo che nulla faccia più male del
nulla stesso.
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